Avete mai sentito parlare di “mode alimentari”? Molto probabilmente vi sarà capitato di imbattervi in alcuni nomi presenti tra i disturbi alimentari più conosciuti, come ad esempio l’”anoressia” o la “bulimia”. Un altro fenomeno della nostra epoca si sta piano piano affacciando sulle “tavole” italiane e nel campo della psicologia. In questo caso i limiti tra moda e disturbo, propriamente detto, possono essere molto sfumati.
Da poco tempo assistiamo, sempre più frequentemente, alla diffusione crescente di alcune filosofie alimentari accumunate a una maniacale e pericolosa iperselezione dei prodotti e degli alimenti, spesso nascoste dietro il nome di “dieta a zona”, “dieta Atkins”, “dieta vegetariana”, vegana, macrobiotica, crudista, fruttarista, ecc…
Un altro fenomeno in forte espansione riguarda le così dette “intolleranze alimentari”. Anche in questo caso il cibo diviene nemico, nonchè fonte di condizioni di malessere più svariate (emicrania, orticaria, colon irritabile, sindromi da fatica cronica, sindrome ipercinetica del bambino, ecc…) per cui l’esclusione di uno o più categorie di prodotti viene vista come l’unica soluzione plausibile.
L’”ortoressia” e la “bigoressia” rappresentano la massima esasperazione di quelle che potremmo definire come moderne filosofie di vita, basate sul salutismo e sul mantenimento della forma fisica. Non riconosciute ancora dalla comunità scientifica internazionale come patologie vere, né inserite nei principali manuali diagnostici, queste due mode stanno sempre più espandendosi come veri e propri disturbi alimentari.
L’ortoressia, dal greco “orthos”, è una ossessione per i cibi giusti e corretti. Se ne è occupato un medico statunitense Robert Bratman, definendola come un’ossessione e dipendenza dal cibo. E’ caratterizzata dalla presenza di una preoccupazione eccessiva per la “purezza” del cibo da assumere e da un forte timore per le conseguenze cliniche di un’alimentazione scorretta. La chiave del comportamento ortoressico sembra apparentemente una scelta di cibi che possono aiutare a raggiungere o a mantenere un certo benessere, ma l’analisi più approfondita dei bisogni delle persone con tali tendenze alimentari mostra che esse esibiscono vere e proprie forme di ipocondria, che sono angosciate da fobie di malattie e di contaminazione o, ancora, assillate dal desiderio di avere un corpo forte e resistente agli attacchi infettivi o al trascorrere del tempo.
Segnali di ortoressia
L’ortoressia non è solo una forma di “integralismo alimentare”( che può riguardare uno o più aspetti dell’alimentazione, portando al rifiuto di cibi considerati “tossici”), piuttosto, risulta una condizione clinicamente significativa quando le scelte alimentari possono danneggiare uno o più aspetti della salute in senso globale, con compromissione del benessere fisico, della vita sociale o dell’equilibrio psicologico. Di conseguenza, il confine tra salutisti e ortoressici sta innanzitutto nell’adozione di abitudini comportamentali connesse al cibo, che possono diventare dannose, scegliendo uno stile di vita “ascetico”, senza eccezioni alimentari, né concrete né ideologiche.
Dal punto di vista sociale, una persona gravemente ossessionata dal cibo sano, spesso, finisce per isolarsi da chi non condivide le stesse abitudini. Diventa, infatti, crescente l’evitamento di momenti di vita sociale, spesso basati sulla condivisione di cibo, come un semplice aperitivo o una pausa caffé, appuntamenti nei quali gli ortoressici, eventualmente, si limitano a consumare quasi esclusivamente acqua.
Altrettanto frequentemente capita che il fanatismo alimentare porti a disprezzare chi non mangia sano e a trovarlo poco affine o persino poco intelligente, guidati da una sorta di “complesso di superiorità” che riduce gradualmente il numero delle persone ritenute degne di essere frequentate. Le chiusure sociali, inoltre, possono diventare una “strategia di difesa”, più o meno consapevole, mirata a proteggere dalle “tentazioni” di cui sono ricche le occasioni sociali, tra cui torte, dolci e altre tradizioni alimentari che caratterizzano feste o ricorrenze.
Dal punto di vista psicologico, possono essere concomitanti o scatenanti un equilibrio interiore fragile, nonché un rigido rispetto di comportamenti vissuti come doveri, riguardo ai quali ogni eccezione, anche minima, provoca malessere. Così, mentre ogni “strappo” alla dieta consolidata provoca sensi di colpa e persino somatizzazione (indigestioni, nausea, vomito, ecc.), il consumo di cibi sani produce un senso di benessere con se stessi, collegato soprattutto ad una calma “apparente” e ad un senso di controllo sulla propria vita. Il paradosso che si genera è che i comportamenti alimentari da cui dipende l’idea di garantire il proprio benessere “controllano” un ortoressico attraverso “l’illusione di controllare” la propria salute.